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Messico

Marcos, la questione basca, il giudice Garzón e un importante uomo politico spagnolo...

Il prolungato silenzio della comandancia zapatista, seguito all’approvazione della cosiddetta Legge Indigena da parte del Congresso messicano, un testo assai distante dagli accordi di San Andrés, è stato rotto dal subcomandante Marcos a fine 2002, in forme e sostanza che non hanno convinto i più: anzi, molti amici della causa zapatista hanno esplicitamente definito un errore la presa di posizione di Marcos sulla questione basca e sul giudice spagnolo Baltasar Garzón. Nelle settimane successive, il Subcomandante ha dapprima cercato di chiarire, spiegare, chiosare, nonché ricucire i rapporti con i simpatizzanti, pur critici ,della causa zapatista. Riuscendo, tuttavia, a scontentare un po’ tutti. Poi, quasi a prendere le distanze dai suoi stessi “chiarimenti”, ha aggiunto nuova benzina sul fuoco. Cerchiamo di ripercorrere le tappe di questa storia, che ha creato non poche difficoltà al movimento zapatista sul piano internazionale, e che, forse, potrebbe riservare nuove sorprese.

Jorge Alonso

A fine 2002, a Madrid, viene inaugurato un centro di riunioni che, assumendo gli zapatisti come riferimento etico nella lotta contro il neoliberismo, si propone come uno di quei luoghi di incontro, Aguascalientes (Acque Calde), resi famosi dagli zapatisti in Chiapas. Nell’occasione, viene letta una lettera di saluto di Marcos. Fra riferimenti poetici e politici, il leader zapatista parla della lotta del popolo basco, in toni che paiono di simpatia per il terrorismo dell’ETA, e di prominenti figure della scena politica spagnola, alle quali riserva pesanti giudizi. In particolare, il giudice Baltasar Garzón, divenuto famoso per la causa intentata contro l’ex dittatore cileno Pinochet, viene definito «grottesco pagliaccio al servizio della classe politica governante», «fascista» e «terrorista di Stato».

Le critiche a queste del tutto inattese dichiarazioni si moltiplicano da subito, sia in España che in México, e oltre. Marcos viene accusato di schierarsi a fianco del terrorismo basco. I pochi che prendono le sue difese cercano di occultare il sole con un dito: gli uni, ricordando la nota irriverenza di Marcos di fronte al Potere, gli altri i metodi a volte “sbrigativi” della polizia spagnola nella repressione del movimento indipendentista basco.

Tuttavia, per la maggior parte degli osservatori Marcos ha commesso un grosso passo falso nell’intromettersi in una questione internazionale così intricata e, pure, così lontana dalla Selva Lacandona, come quella basca. Sostenere che il giudice Baltasar Garzón abbia una «vocazione fascista», quando lo stesso ha mostrato di essere un difensore del diritto internazionale e della giustizia, appare ai più un grave insulto.

Lo scrittore spagnolo Fernando Savater dichiara: «Ciò che Marcos dica o non dica su qualsiasi cosa vada aldilà del Chiapas, mi getta nello sconcerto. Ma l’impostura che mi preoccupa non è la sua, ma quella di chi gli fa il coro, di chi lo tira dalla sua parte e lo accompagna nella legittimazione o volgarizzazione dei crimini commessi nella mia terra in nome di una pretesa “causa giusta”, che non sa di farsi ascoltare senza di essi, né vuole aspettare che essi cessino per farsi ascoltare», in riferimento al terrorismo basco.

Anche altri intellettuali, distintisi in passato per l’appoggio dato alla causa zapatista, criticano Marcos. Vázquez Moltalbán si rammarica dell’errore commesso da quest’ultimo nella lettera, in cui temi importanti e polemici vengono affrontati – sostiene lo scrittore – in maniera troppo frivola; piaccia o no – aggiunge –, il giudice Garzón ha realizzato molte cose formidabili contro il terrorismo di Stato.

Anche per José Saramago, Marcos ha commesso un «gravissimo errore»; il premio Nobel per la letteratura riassume così lo sconcerto di quanti appoggiano la causa indigena in America Latina, causato dalle dichiarazioni di Marcos.

La risposta di Garzón

Dal canto suo, il giudice risponde adirato a quella che definisce la «lettera settaria» di Marcos. Eccone alcuni stralci: «Dove sono nella sua lettera certe parole, solo poche parole, per le vittime del terrorismo? Non ci sono perché lei (nel suo fondamentalismo repressore, pieno di autoritarismo e di superbia) distilla odio verso quelle vittime e verso tutte quelle che non siamo o non la pensiamo come voi…Quelli che lei eufemisticamente chiama “ribelli baschi” sono esseri sommessamente vincolati alla strategia della violenza più ingiusta e demenziale che esista in Europa… Con posizioni come questa, lei perderà persino coloro che seguono il miraggio del futuro che lei ha offerto loro. La causa indigena si vede gravemente minacciata dagli atteggiamenti di intolleranza estrema che lei ha adottato».
«Le confesso che per me, signor Marcos, lei rappresentava qualcosa di differente: una specie di raggio di coerenza. Ora avverto il mio gravissimo errore. Le avevo concesso una categoria che non merita. Lei non è che una nave alla deriva. Quando all’inizio, a capo del suo “Esercito”, contava sulla simpatia di molte persone (la mia inclusa), lei ha avuto l’occasione di portar la causa indigena ad un buon porto, ma ha sbagliato rotta e ormai sappiamo il perché. Non le serve togliersi la maschera per essere smascherato: lei, semplicemente, non crede nei diritti essenziali dell’uomo, né nella democrazia, e nemmeno nei diritti civili del suo popolo».
«Io non sono, come lei afferma, “fascista” o “terrorista di Stato”. Nella mia vita, non ho mai impugnato un’arma mia (salvo che per cacciare qualche pernice). Sono essenzialmente un pacifista. In uno Stato Democratico Sociale, e di Diritto, cerco di applicare e far rispettare la legge ad ogni costo, come si addice ad un professionista del diritto come me e di ciò sento tutta la mia responsabilità».

«Presto servizio pubblico da 22 anni, 14 dei quali cercando di combattere con le armi della legge il narcotraffico, il crimine organizzato, la corruzione, il terrorismo e i delitti dello Stato e della lesa umanità. In questa lunga battaglia posso aver commesso errori, ma a differenza di lei mi sono giocato la faccia, ho firmato con il mio nome e mi sono assunto i miei sbagli. Invece lei si trincera, codardemente, in una sorta di torre d’avorio che la trasforma in un essere strano, esotico, un fantasma dietro una maschera e una ridicola pipa».
«La sfido quando vuole e dove vuole, senza maschere né travestimenti, faccia a faccia, per parlare di terrorismo, ribellione, dignità, lotta, politica, giustizia, di tutti quei valori che servono per costruire un paese e una democrazia, e difendere i diritti di coloro che meno ne hanno. “Oggi è sempre ancora”, diceva Antonio Machado. Serbo la tenue speranza che lei riacquisti la ragione che pare aver perso e quel fondo di democrazia che, forse una volta, ha avuto».

Un grave passo falso

A rendersi conto del passo falso è lo stesso Marcos, che subito si dà da fare per rimediare agli errori. In Dicembre, vengono così diffuse cinque lettere firmate dallo stesso, a nome dell’EZLN. In risposta alla sfida di Garzón, Marcos propone un dibattito da svolgersi a Lanzarote, un’isola delle Canarie, fra il 3 e il 10 Aprile 2003, per la qual cosa il giudice spagnolo si sarebbe dovuto incaricare di procurare i salvacondotti necessari affinché Marcos e sei suoi «scudieri» potessero assistervi.

Il leader zapatista propone, poi, la realizzazione in forma parallela, ma non simultanea, di un incontro fra tutti i protagonisti politici, sociali e culturali della problematica basca che lo desiderino, sul tema: “Il Paese Basco, sentieri”. A tale scopo, invita Garzón a contribuire a promuovere una distensione da parte del governo spagnolo e sollecita quest’ultimo ad inviare una delegazione di alto livello; tuttavia, secondo Marcos, a tale appuntamento il giudice spagnolo avrebbe potuto partecipare soltanto come uditore, al pari dello stesso Marcos, dal momento che sul tema è sovrano il popolo basco. Marcos, quindi, chiede all’ETA di applicare una tregua militare di 177 giorni, a partire dal 24 Dicembre, e alla società civile spagnola e basca di mobilitarsi in una campagna per «dare un’opportunità alla parola».

Il leader zapatista promette di togliersi il passamontagna qualora perda la “sfida” con Garzón, mentre allo stesso giudice Marcos chiede, in caso di vittoria, il riconoscimento dei diritti e della cultura indigeni.

Per tutta risposta, il governo spagnolo bolla la lettera di Marcos a Garzón «stravagante» e «incoerente», e lo stesso Marcos come un «alienato».

Dal canto loro, le autorità migratorie dell’Unione Europea ribadiscono che Marcos potrà entrare in Europa soltanto con le carte in regola: cioè, con nome e cognome veri, e senza maschera.

Marcos prende le distanze dall’ETA

Quindi, in una lettera all’ETA, Marcos sostiene di essere stato male interpretato, essendosi riferito alla lotta politica del popolo basco, non a quella militare. Nondimeno, Marcos ammette l’ambiguità delle sue precedenti dichiarazioni e perché non vi siano dubbi, ribadisce che l’EZLN non ha realizzato, né mai realizzerà alcuna azione militare contro la popolazione civile, condannando enfaticamente tali attacchi, vengano essi dall’ETA, dallo Stato Spagnolo, da Bush, dagli israeliani o dai palestinesi. Secondo gli zapatisti, occorre fare piuttosto qualcosa per cambiare la logica criminale che si sta imponendo in tutto il mondo, per la quale si può combattere il terrore con altro terrore; che – aggiunge –, in questo modo, mai sarà vinto, essendo una trappola quella che obbliga a scegliere fra l’uno o l’altro terrore. In breve, se l’EZLN considera legittima e giusta la lotta del popolo basco per la sovranità, tale nobile e giusta causa non giustifica il sacrificio di vite di civili, precisa Marcos. Quindi, rivolgendosi ai familiari delle vittime dell’ETA e dello Stato spagnolo, fra i quali – sostiene vi siano – non pochi simpatizzanti della causa zapatista, si scusa se con l’ambiguità dimostrata abbia mancato di rispetto per il loro dolore: «Desideriamo di tutto cuore che ci capiscano e che un giorno ci perdonino per la parte che ci compete». Al tempo stesso, però, accusa il governo spagnolo di aver manipolato la sofferenza delle vittime del terrorismo dell’ETA per distrarre e occultare la sua criminale inefficacia nella catastrofe ecologica che in quei giorni colpiva le coste della Galizia a seguito del naufragio di una petroliera.

In un’altra lettera, Marcos esorta le organizzazioni politiche, sociali e culturali della sinistra del Paese basco, pure invitate all’incontro, a cercare alternative inedite per la conquista della loro sovranità, dimostrando apertura e tolleranza, al fine di coinvolgere più forze possibili nel foro proposto. Quindi, lanciando una frecciata alla sinistra parlamentare messicana, Marcos sostiene che, a differenza di essa, i baschi, sì, avrebbero un progetto politico alternativo.

Infine, annuncia tre ricorsi per reati di lesa umanità nei confronti dell’ex presidente Zedillo per la sua responsabilità nella strage di Acteal, avvenuta nel Dicembre 1997.

In breve, con questo mazzo di lettere di scuse, Marcos torna a parlare e a far parlare di sé, della situazione in Chiapas e in México.

Le reazioni

In un’intervista, José Saramago applaude alla proposta di Marcos sulla questione basca, sostenendo che tocca ora all’ETA fare un passo avanti, con coraggio. Favorire il dialogo per cercare soluzioni sarebbe «la tanto desiderata dimostrazione del fatto che le utopie sono realizzabili», afferma lo scrittore, che sottolinea come la correzione fatta da Marcos dimostri che il suo pensiero si regge sempre sulla «pedagogia della parola».

Da parte sua, Manuel Vázquez Moltalbán dichiara di scommettere su qualsiasi opzione di dialogo, anche su quella in apparenza più «surrealista», essendoci così poche vie di uscita alla questione basca. Avverte, però, che senza la partecipazione della società civile non c’è soluzione possibile e che, a suo parere, difficilmente il governo spagnolo accetterà la proposta di incontro. Comunque sia, la correzione operata da Marcos pare allo scrittore spagnolo «un’uscita intelligente, ludica e molto ingegnosa» che corregge «l’errore della prima, che aveva suscitato sconcerto e malessere».
Vari intellettuali organizzano un foro a Madrid a sostegno dell’appello al dialogo rivolto dall’EZLN. Lo stesso centro politico-culturale dell’EZLN, inaugurato poche settimane prima, accoglie la proposta di organizzare un dibattito sul conflitto basco.

Dall’altra parte dell’oceano, il giornalista messicano Emanuel Carballo commenta: in tal modo, il Subcomandante esce dall’angolo in cui si era ficcato; con le nuove lettere, Marcos torna a privilegiare il dialogo e corregge la posizione della prima lettera, che peccava di «disinformazione, leggerezza e di una posizione poco giudiziosa», se si considera che la grande vittoria dello zapatismo era stata associare il proprio nome alle rivendicazioni di pace.

No al terrorismo

Diverse sono, invece, le risposte delle forze politiche spagnole e basche. Herri Batasuna, il partito indipendentista basco, considerato il “braccio politico” dell’ETA, per la qual cosa il giudice Garzón lo ha dichiarato illegale, accetta la proposta di dialogo fatta dagli zapatisti. D’accordo si dice anche Sinistra Unita, il cui coordinatore generale invia una lettera a Marcos, di appoggio alla causa zapatista e compiacimento per la condanna del terrorismo etarra; Sinistra Unita considera l’ETA «una banda di assassini» e ritiene che il terrorismo sia «geneticamente» contrario ad una sinistra che voglia trasformare la società.

L’ETA critica Marcos

Da parte sua, l’ETA, che durante il corso della polemica non interrompe le sue attività terroristiche, risponde a Marcos all’inizio del 2003. Dapprima, insinua una diversità di posizioni fra lo stesso e gli indigeni zapatisti; quindi, bolla la lettera di Marcos come «una disperata manovra per attrarre l’attenzione internazionale» su di sé, dichiarandosi indisponibile a partecipare a tale «pantomima», ma pronta ad esaminare «proposte serie»; tuttavia, l’ETA rimprovera Marcos di aver reso pubblica la sua proposta senza alcuna consultazione previa, considerando ciò «una mancanza di rispetto».

«Non facciamo accordi al buio», ribatte Marcos; del resto, sostiene, gli zapatisti non hanno i mezzi, né l’obbligo di consultare l’ETA prima di parlare, essendosi conquistati il diritto alla libera espressione; in ogni caso, l’EZLN non ha la pretesa di dire ad alcuno ciò che debba fare, avendo soltanto chiesto di fare «un’opportunità alla parola». Pertanto, se l’ETA non è disposta in tal senso, discorso chiuso. Quanto alla “pantomima”, Marcos replica che, evidentemente, all’ETA piacciono di più «le tragedie».

Il leader zapatista nega, quindi, di aver mancato di rispetto al popolo basco: «Forse, proporre di dare un’opportunità alla parola contravviene agli interessi di coloro i quali, da posizioni apparentemente contrarie, hanno fatto della morte della parola il proprio affare e il proprio alibi».
Altrettanto nega di essere disinformato, sollecitando piuttosto l’ETA ad informare il popolo basco. Quanto all’affermazione che l’ETA rappresenti il popolo basco, lo stesso Marcos chiosa: non è lo stesso il rispetto che la paura. Del resto, aggiunge, gli zapatisti non dicono di rappresentare altri, se non se stessi: «Non rappresentiamo tutto il popolo messicano, né la sinistra messicana, né tutte le tribù indigene del México». Ciò, secondo Marcos, perché l’EZLN ha rinunciato al ruolo di avanguardia e non obbliga alcuno ad accettare il proprio pensiero se non con la forza della ragione, mentre le sue armi non servono a imporre idee o forme di vita, ma a difendere un pensiero e un modo di vedere il mondo e di rapportarsi con esso.

Marcos sottolinea poi come l’EZLN non necessiti dell’appoggio, né della solidarietà dell’ETA. Perché la lotta degli zapatisti ha «un codice d’onore ereditato dai propri antenati che comprende, fra le altre cose, il rispetto della vita dei civili, non ricorrere al crimine per assicurarsi risorse e non rispondere con il fuoco alle parole».
In risposta alla parte finale del comunicato dell’ETA in cui si lancia lo slogan «Viva il Chiapas libero!», Marcos chiarisce che gli zapatisti non pensano affatto a separarsi dal México, ma vogliono essere parte dello stesso, restando quel che sono; ragion per la quale, conclude con un «Viva il México con i suoi indigeni».

Le ripercussioni in México

Ovviamente, gli interventi di Marcos sulla questione basca hanno ripercussioni anche in México. I membri della Commissione per la Concordia e la Pacificazione (COCOPA) ironizzano sul fatto che all’EZLN convenga di più occuparsi di questioni nazionali che internazionali. Dal canto suo, il Ministero dell’Interno ribadisce che nessun permesso o beneficio sarà concesso al leader zapatista al di fuori della legge.

Per il vescovo Samuel Ruiz, Marcos afferma chiaramente come la violenza non sia la soluzione. Anche il vescovo di San Cristóbal, Felipe Arizmendi, appoggia l’appello di Marcos all’ETA e chiede al primo di dare l’esempio e riprendere il negoziato in México. E se la prima lettera, per le sue ambiguità, ha nuociuto agli zapatisti, il prelato si rallegra che si sia fatta chiarezza su quegli equivoci, dal momento che l’EZLN ha dato lodevole dimostrazione di aver sempre respinto il terrorismo, e ciò costituisce un esempio per il mondo. Il vescovo rinnova, quindi, il suo appoggio alle giuste cause dell’EZLN: quelle degli indigeni e dei poveri.

D’altro canto, il Commissario del Governo per la Pace, Luis H. Álvarez, accusa l’EZLN di mancanza di dialogo, ragione per la quale, a suo dire, molti progetti infrastrutturali e socio-produttivi proposti dal governo non procedono e molte comunità, zapatiste ma aperte alla collaborazione con il governo, avrebbero cominciato a non seguire più i propri leaders.

Alle insinuazioni di disunione nelle fila zapatiste, l’EZLN risponde il primo Gennaio 2003, nono anniversario del sollevamento nel Chiapas, con l’occupazione simbolica di San Cristóbal de las Casas da parte di 20 mila indigeni zapatisti provenienti da circa 40 municipi autonomi, col machete in mano e incappucciati. Fra essi, molti comandantes – Tacho, David, Omar, Míster, Brus Li (sic!) Esther e Fidelia – a voler sottolineare l’unità della dirigenza zapatista.

Nei loro discorsi, accuse al governo e ai partiti, critiche al trattato di libero commercio e smentite per il commissario Álvarez.

Il contesto internazionale di quelle settimane, tuttavia, è in fibrillazione per i venti di guerra che si addensano sull’Iraq. Anche in México, le manifestazioni per la pace sono numerose e diffuse. In questa occasione, il governo Fox, che in altre circostanze si è mostrato del tutto subordinato agli interessi statunitensi, mantiene una dignitosa difesa della sovranità nazionale di fronte alle pressioni e minacce del governo Bush, che pretende che il voto messicano avalli il suo disegno bellicista nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Ciò vale al presidente messicano l’appoggio tanto della classe politica come della maggioranza della popolazione messicana. Soltanto alcuni imprenditori, schierati sulle posizioni statunitensi, paventano possibili rappresaglie da parte statunitense contro gli interessi economici messicani. Tuttavia, pur senza entusiasmo, il grosso dell’imprenditoria finisce per appoggiare la posizione del governo, in nome dell’unità nazionale, della vocazione pacifista del popolo messicano e del multilateralismo che ha sempre caratterizzato la politica estera messicana.

Dal canto suo, lo zapatismo si fa vivo in molti modi nelle manifestazioni organizzate dal movimento pacifista in tutto il mondo. Nella grande manifestazione di Roma, a metà febbraio, la madre di Carlo Giuliani legge un messaggio inviato dall’EZLN, in cui Marcos ribadisce il suo «no al neoliberismo, alla guerra, alla paura, alla rassegnazione, alla rinuncia ad essere umani»; «la domanda non è se possiamo cambiare il corso omicida del potente, ma se potremmo vivere con la vergogna di non aver fatto tutto il possibile per evitare e fermare la guerra».

Contemporaneamente a questa presa di posizione contro la guerra in Iraq, ma nel contesto di una serie di comunicati diretti a interlocutori messicani, Marcos spiega pubblicamente perché gli zapatisti intendessero visitare l’Europa: per rivolgere un appello agli organismi internazionali al fine di ottenere il riconoscimento dei diritti e della cultura indigeni. In tal modo, ricuperare a livello internazionale il terreno perso in ambito messicano. L’idea era quella di ripetere una marcia simile a quella realizzata in México nel 2001, ma con una differenza fondamentale: se in quella mobilitazione, gli zapatisti si erano limitati a porre sul tavolo la questione indigena, in quest’altra marcia internazionale il tema sarebbe stato accompagnato da altre lotte per il riconoscimento delle differenze, delle resistenze e delle ribellioni, nonché dall’opposizione – in quel momento – ai preparativi di guerra in Iraq.

A giudizio degli zapatisti, l’Europa era in quel momento il terreno dove il bellicismo internazionale poteva essere contrastato e tale forza avrebbe potuto irradiarsi al resto del mondo. Tuttavia, Marcos chiarisce nei suoi messaggi che gli zapatisti non se la sono sentita di convocare da soli tale movimento internazionale, ma che intendevano contribuire a promuoverlo insieme ad altre forze in Europa.

In quel contesto, tuttavia, Marcos aggiunge nuovi particolari sulla polemica scoppiata con varie autorità spagnole circa la questione basca.
Marcos racconta che, mentre l’EZLN stava cercando di capire come e quando recarsi in Europa, il 2 Novembre 2002 una persona assai vicina ai circoli del potere politico ed economico messicano fra il 1993 e il 1996 che asseriva di avere informazioni utili all’EZLN sulla strage di Acteal, avrebbe preso contatto con la Comandancia General zapatista. Non era la prima volta, commenta Marco, che dissidenti del governo facevano arrivare informazioni all’EZLN, a volte vere, a volte no.
Quella che segue è, in sintesi, la versione di Marcos su quanto avrebbe confidato l’anonimo informatore degli zapatisti.
La versione completa (in spagnolo) è consultabile al sito http://www.ezln.org/documentos/ 2003/20030224.es.htm .
Il condizionale è, dunque, d’obbligo.

Secondo Marcos, nei mesi successivi al Febbraio 1995, dopo il fallimento dell’offensiva militare dell’esercito messicano in Chiapas seguita al mancato rispetto degli accordi presi con l’EZLN dall’allora presidente Zedillo, nonché scemata l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale circa l’arresto di Raúl Salinas de Gortari, i generali Renán Castillo – che allora non era solo il capo militare, ma il governatore di fatto in Chiapas – e il ministro della Difesa Cervantes Aguirre, avrebbero insistito sulla necessità di attivare gruppi paramilitari contro gli zapatisti. I due pianificavano la cosiddetta “Operazione Colombia”, con il sostegno del Dipartimento di Stato. Tuttavia, Zedillo non si decideva in tal senso.

In quello stesso anno, il 1995, – prosegue il racconto di Marcos – giunge in visita in México un ‘personaggio del governo spagnolo’, amico ‘intimo’ del presidente Zedillo secondo l’anonimo informatore, al punto da assistire a riunioni in cui si discutevano affari di Stato. In una delle quali, Zedillo avrebbe commentato come fosse un problema ‘farla finita’ con gli zapatisti, dal momento che essi avevano dalla loro parte l’opinione pubblica messicana.

Il politico spagnolo avrebbe allora proposto di distruggere la legittimità degli zapatisti: in breve, se essi lottavano per gli indigeni, bisognava farli scontrare contro altri indigeni. Come esempio, avrebbe citato a Zedillo l’esperienza spagnola dei Gruppi Antiterroristi di Liberazione, creati ad arte per contrastare l’indipendentismo basco. Zedillo avrebbe ribattuto di essere al corrente delle attività dei GAL, oggetto peraltro di indagini (condotte anche dal giudice Garzón, ndr) tese a verificare eventuali responsabilità del governo spagnolo nei sequestri e omicidi di militanti dell’ETA.

Per niente scoraggiato, il politico spagnolo avrebbe sostenuto che uccidere e sequestrare assassini non costituisce un crimine, ma un favore fatto alla società. Non solo: tali gruppi, avrebbe aggiunto lo spagnolo, commettevano anche attentati terroristici da attribuire poi all’ETA.
A quel punto – prosegue il racconto di Marcos – Zedillo avrebbe chiesto se il re fosse al corrente della cosa, ricevendo per tutta risposta: ‘il re sa ciò che gli conviene e finge di non sapere ciò che non gli conviene’. Del resto, nessuno va per il sottile, avrebbe affermato il politico iberico, quando i morti sono terroristi: dopo qualche giorno di polemiche sulla stampa la gente si dimentica; eppoi ci sono decisioni gravi da prendersi per ragioni di Stato.

Zedillo avrebbe allora obiettato che la cosa non avrebbe funzionato in México, perché gli zapatisti non sono terroristi. Tuttavia, lo spagnolo avrebbe fornito una soluzione anche a questo dilemma: e allora, ‘fateli diventare terroristi’. In concreto, si sarebbe dovuto creare un gruppo armato indigeno, farlo scontrare con gli zapatisti, provocare morti, e quindi legittimare l’entrata in scena dell’esercito per riportare la pace e... problema risolto! In base alla sua esperienza, lo spagnolo si sarebbe offerto persino come consulente.

Naturalmente, non si sarebbe trattato di un’offerta gratuita: il governo messicano avrebbe dovuto cooperare con quello spagnolo, estraditando baschi dell’ETA residenti in México. Zedillo avrebbe risposto di non essere sicuro che quei baschi fossero etarras, cioè militanti della formazione indipendentista basca. Nessun problema, avrebbe nuovamente ribattuto lo spagnolo, perché si sarebbero incaricati ‘loro’ di farli apparire come tali. Inoltre, questi avrebbe offerto l’appoggio del governo spagnolo nei negoziati commerciali del México con l’Europa. Per concludere, fra il vanto e il cinismo : ‘Se in qualcosa siamo esperti come spagnoli è nello sterminare indigeni...’.
Da queste informazioni che sarebbero giunte agli zapatisti, Marcos deduce il resto.

A partire da allora, Zedillo avrebbe ordinato l’attivazione di gruppi paramilitari. Con assistenza del governo spagnolo e in cambio dell’estradizione di presunti etarras.
Il 22 Dicembre 1997, un gruppo paramilitare chipaneco cerca lo scontro con l’EZLN, ma questo ripiega per evitare un conflitto fra indigeni e avvisa le comunità non-zapatiste della minaccia. Ad Acteal, si trova il gruppo Las Abejas (Le Api), disarmato e fiducioso che, essendo neutrale, nulla gli sarebbe successo. Tuttavia, proprio lì, si sarebbe consumato il piano sopra descritto: il massacro di civili, in maggioranza donne e bambini, si produce mentre polizia e militari aspettano pazientemente di entrare in azione per riportare la pace dopo ‘lo scontro fra indigeni’. Tuttavia, com’è noto, non vi fu alcun scontro, ma una strage e la verità venne presto fuori grazie ai media.

La notizia del massacro di Acteal fa il giro del mondo e commuove il mondo. Lo stesso Zedillo commenta: «Perché donne e bambini?».

Il 10 marzo 1998, l’ex capo del governo spagnolo Felipe González viene intervistato dal giornalista messicano Luis Hernández. González dichiara che fatti come quello di Acteal creano sempre una tremenda commozione nell’attuale mondo della globalizzazione mediatica, lamentando però che situazioni più gravi di quella, accadute altrove, non riescano a superare le barriere della comunicazione. Oggi, Marcos chiosa quell’intervista: «Per González, era tutto un problema di esagerazione dei media». Quindi si chiede espressamente: «Era Felipe González la persona che discusse con Zedillo sui GAL, sui paramilitari e sulla estradizione di baschi? Era qualcuno del suo governo?».

E a complemento dell’ipotesi, Marcos cita fatti e circostanze che riguardano Zedillo, González, Garzón, fra gli altri. In una esaltata interpretazione dei fatti, si spinge persino a sostenere che la ragione del viaggio di Aznar in México nel Febbraio 2003 non sarebbe stata quella di convincere Fox a votare a favore dell’intervento in Iraq in sede ONU, quanto di impedire agli zapatisti di recarsi in España...

Ripercorrendo tale trama, Marcos spiega perché il progettato viaggio zapatista a Europa sarebbe dovuto iniziare in territorio spagnolo e perché avrebbe dovuto affrontare la questione basca. In definitiva, sostiene, ad aver mescolato la questione basca con la lotta indigena in Chiapas sarebbe stato lo stesso governo spagnolo. Per questo, gli zapatisti avrebbero sentito «un dovere recarsi in España a dimostrare al re, a Felipe González, a José María Aznar e a Baltasar Garzón che mentono quando dicono che “se in qualcosa siamo esperti noi spagnoli è nello sterminare indigeni”, dal momento che siamo vivi, resistiamo e ci ribelliamo».

Secondo Marcos, gli zapatisti non ignoravano che il toccare la questione basca avrebbe causato tanto malumore, ma anche questo lo consideravano un loro dovere. L’EZLN non si è proposto di mediare nel conflitto basco, né di dire ai baschi ciò che debbano o non debbano fare. Le proposte zapatiste possono essere state ingenue o grossolane, ma non disoneste – annota.

In breve, l’idea era quella di divulgare le indiscrezioni su Zedillo e sul suo amico spagnolo durante la visita in Europa o davanti a qualche tribunale internazionale. Altroché sprovveduti e disinformati sulla questione basca, si è quindi difeso Marcos: l’EZLN «ne sa di più di quello che molti pensano sulla connessione Paese Basco-Chiapas, vale a dire, la connessione fra il terrorismo di Stato spagnolo e messicano».

In quel contesto,tuttavia, Marcos annuncia la decisione zapatista di cancellare il viaggio nella penisola iberica.

Fra le note di saluto e i ringraziamenti a quanti avevano accolto la proposta dell’EZLN, il leader zapatista aggiunge una coda polemica nei confronti del giudice Garzón, “reo” di non aver risposto alla “sfida” lanciatagli:«Dapprima abbiamo accusato Garzón di essere un pagliaccio grottesco. Non era vero. È solo un ciarlatano e un codardo».

L’insolito ricorso a questo tipo di linguaggio da parte zapatista e la pervicacia di questa polemica nata male e proseguita peggio, tradiscono, forse più di tanti commenti, un certo nervosismo per il, primo, serio passo falso a livello internazionale del movimento zapatista.

§

Ha collaborato alla traduzione Maddalena Frigerio. Redazione finale di Marco Cantarelli

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