Nicaragua
Sviluppo “a grappolo”?
In Nicaragua, ci si chiede se con la defenestrazione dell’ex presidente Alemán sia ormai giunta l’ora di un decollo economico. Se così fosse, quale strategia di sviluppo della nuova era potrà garantirlo? .......
Arturo Grigsby
Attualmente, esiste una strategia nazionale di sviluppo, su cui il governo sta scommettendo e che sta già mettendo in pratica, come si riflette nel bilancio 2003, e che nel dicembre 2002 è stata resa nota in un documento che lo stesso governo ha fatto circolare fra diversi settori nazionali a mo’ di “consultazioni”, alla ricerca di consenso. Tale strategia di sviluppo è parte fondamentale del Progetto di Nazione che il presidente Bolaños si è impegnato a presentare quest’anno al Paese nel suo messaggio del 10 Gennaio scorso alla Assemblea Nazionale. E che sarà presentato al Gruppo Consultivo che riunirà in Giugno a Managua i rappresentanti della comunità internazionale che sostengono il Nicaragua.
Le linee strategiche
Tre sono le linee strategiche del governo:
- i cosiddetti clusters (letteralmente: grappoli; distretti, secondo una terminologia più diffusa in Italia, ndr) di attività economiche, considerati il motore della crescita;
- la mappa delle opportunità riorienterà gli investimenti pubblici e avrà priorità a scapito della mappa della povertà;
- gli investimenti publici saranno la variabile chiave per la crescita e la sostenibilità fiscale.
Cuore di tale strategia è lo sviluppo del Nicaragua concepito a partire da clusters. Inoltre, cambia la concezione applicata finora nella Strategia di Riduzione della Povertà e che, di fatto, si stava mettendo in pratica. Si tratta di un cambiamento qualitativo che consiste nel fatto che la spesa sociale e gli investimenti pubblici non si orienteranno più, come è stato finora, verso le priorità che risaltano nella mappa della povertà, ma a quelle che emergono dalla mappa delle dinamiche e opportunità economiche che emergeranno da tali clusters.
Infine, il governo si propone di cercare risorse esterne aggiuntive al bilancio per finanziare gli investimenti pubblici necessari per sostenere tale strategia di sviluppo. Di fatto, nel bilancio 2003 ha indirizzato le risorse già contrattate per garantire tale strategia.
Concepire lo sviluppo a partire da quelli che in inglese si chiamano clusters non è una strategia nuova. La teoria della crescita economica dei paesi meno sviluppati per questa via è stata sostenuta da vari anni dall’Università di Harvard. I propositi del governo Bolaños sono figli della strategia di sviluppo elaborata da Harvard e dall’Istituto Centroamericano di Amministrazione di Imprese (INCAE) con i governi centroamericani a fine anni ‘90, che risulta formulata nel documento sulla strategia di sviluppo regionale che tali governi hanno presentato alla comunità internazionale dopo il disastro di Mitch.
In quel documento appaiono gli stessi concetti che oggi appaiono nella strategia del governo Bolaños. Nel 2002, il governo di Nicaragua ha condecorato l’accademico statunitense di Harvard Michael Porter, considerato il “padre” intellettuale di questa concezione dello sviluppo.
Dopo Mitch, quella che allora fu presentata come strategia di sviluppo, partiva dal presupposto che il Centroamerica si sarebbe potuto recuperare economicamente solo consolidando i propri clusters, i quali avrebbero fatto da locomotiva per l’intera economia e consentito di superare gli effetti dell’uragano.
Il concetto di clusters si riferisce alla concentrazione geografica di imprese ed istituzioni, tutte vincolate tra sé, in un territorio determinato. Si suppone che se in una zona del paese o in vari municipi, un insieme di imprese si concentrano già su una stessa attività economica, consolidare quel tessuto sociale e produttivo e potenziarlo per sviluppare un’adeguata economia di scala permette di risparmiare costi, incrementare la competitività e migliorare l’esportazione. Matiguás (al centro del Nicaragua, ndr) è un buon esempio: è un territorio adeguato per sviluppare un distretto di allevamento e prodotti caseari: perché vi sono centinaia di allevatori, tradizioni e abilità, importatori di beni produttivi per il bestiame, capaci di produrre più latte e formaggio, ed esportare di più. In questo senso, dove esiste una concentrazione di produzione, uno “sciame” di produttori ed imprese, c’è potenziale per sviluppare la capacità di competere con successo nel mercato internazionale.
Nel documento Harvard-INCAE degli anni ‘90 sono stati identificati i settori centroamericani nei quali si osservava un certo dinamismo; ciò, al fine di scegliere i più adeguati. Sviluppando i clusters più dinamici, si sarebbe così riusciti a inserire vantaggiosamente il Centroamerica nel mercato mondiale.
I settori di sviluppo
Sono stati così identificati quattro clusters: il turismo, il settore tessile, l’agroindustria ad alto valore aggiunto e i prodotti elettronici.
Il turismo si stava sviluppando già da tempo in Costa Rica e si osservava come negli ultimi dieci anni, quando sono finite le guerre nel Salvador, Guatemala e Nicaragua, l’attività turistica fosse una di quelle di maggiore crescita perché la regione è attrattiva per le sue risorse naturali e biodiversità, che la convertono in una meta del turismo ecologico. È questo potenziale che ha portato i governi centroamericani a firmare ed impegnarsi a rispettare protocolli ecologici internazionali.
Il settore tessile faceva già registrare allora, con le imprese maquiladoras (vedi scheda nel numero scorso, ndr) una presenza importante. L’agroindustria è un’attività tradizionale nella regione.
E i prodotti elettronici furono inclusi a partire dall’esperienza già iniziata in Costa Rica con i giganteschi investimenti fatti in quel paese dalla multinazionale INTEL.
Nel progetto, si ritiene che i soggetti chiave della strategia saranno i governi e i gruppi imprenditoriali esportatori. La strategia puntava a raggiungere una crescita economica regionale del 5% su base annuale e di ridurre la povertà nella regione per l’anno 2015 a solo il 15% della popolazione centroamericana.
La promozione di questi clusters dipende da ingenti investimenti pubblici in ogni paese, dall’ammodernamento delle dogane, da riforme delle politiche pubbliche: governabilità, sistema giudiziario, macro-economia, competitività e ambiente. Dipende anche da una maggiore integrazione centroamericana. Il quadro più ampio per sostenerla è il Piano Puebla-Panamá (PPP), uno dei cui più ambiziosi progetti è il Corridoio Logistico del Centroamerica, nome che nel PPP viene assegnato alla Carretera Panamericana ampliata e rivitalizzata, che andrebbe dalla frontiera con il México fino alla Colombia.
Traduzione concreta di questa strategia è che gli investimenti pubblici dei governi centroamericani e il finanziamento esterno che essi ricevono, si orienti a sviluppare tali clusters, costruendo tutta l’infrastruttura necessaria per garantire lo sviluppo di tali distretti. Il Piano Puebla-Panamá e questa strategia propongono di collegare i porti centroamericani che si affacciano sull’Atlantico con quelli sul Pacifico; costruire una rete di comunicazioni che permetta di sfruttare al massimo il vantaggio geografico del Centroamerica, bagnato da due oceani, con un istmo di terra relativamente stretto che unisce le due metà del continente. Si tratterebbe di ammodernare l’infrastruttura della regione, dando priorità a quelle arterie, porti, strade e comunicazioni che richiedono lo sviluppo di tali clusters. I governi del Centroamerica appoggiano questo progetto di sviluppo regionale, un consenso intorno ad una strategia economica che non si produceva da quando negli anni ‘60 i governi della regione si impegnarono a realizzare il progetto di Mercato Comune Centroamericano.
Da quando è stata adottata per il Centroamerica, tale strategia di sviluppo ha ricevuto critiche. La prima e centrale è che si prevede che tali clusters siano potenziati e promossi da imprese straniere e da quelle più forti a livello nazionale orientate all’esportazione. I settori della grande impresa saranno quelli che parteciperanno ai benefici della concentrazione degli investimetni pubblici: il che significa che resterà fuori del tutto l’ampio settore di piccoli e medi imprenditori, che producono per il mercato nazionale. In questa strategia, nemmeno sono presi in considerazione sindacati, organizzazioni della società civile, movimenti sociali, Organizzazioni Non Governative.
È interessante osservare la notevole differenza di questa strategia di sviluppo rispetto a quella nota come neoliberistica. Nel neoliberismo è la “mano invisibile” del mercato a garantire la crescita economica e sono le opportunità che offre il mercato ad assicurare lo sviluppo. In quest’altra concezione non è così, perché esiste uno sforzo pianificato del governo per incidere su determinate aree dell’economia, in maniera concertata con i gruppi imprenditoriali. La pianificazione stabilisce una differenza significativa. Tuttavia, giacché non ha una base ampia e non incorpora settori molto importanti delle economie regionali e delle società civili della regione, la strategia somiglia a quella del neoliberismo: è una proposta escludente.
Semplificando un po’, in questa concezione ciò che resta fuori dai clusters non si svilupperà, ma sarà oggetto di assistenza con programmi di compensazione sociale, spesa pubblica in sanità, istruzione e sussidi. Una concezione di questo tipo, basata chiaramente sull’esclusione, fa supporre che la disuguaglianza, la polarizzazione e l’ingiustizia sociali che hanno caratterizzato il Centroamerica lungo la sua storia si aggraveranno. Ma è quella strategia di sviluppo centroamericana che oggi il governo Bolaños adatta e propone come strategia di sviluppo per il Nicaragua.
Nel documento nicaraguense si comincia con l’accettare che il Nicaragua è il fanalino di coda del Centroamerica, anche se non lo si dice esplicitamente. Tuttavia, di fatto, si ammette che il Nicaragua non può pensare in un cluster di prodotti elettronici e che nemmeno si può pensare, nonostante sia un paese agricolo, ad uno di prodotti agroindustriali ad alto valore aggiunto.
Partendo da questo realismo, il governo conclude che il settore agricolo tradizionale e le risorse naturali del paese, con abbondanza relativa di terre, boschi e manodopera a basso costo, continueranno ad essere nel futuro immediato le locomotive del paese, quelle che svilupperanno il Nicaragua e garantiranno l’anelato decollo economico.
È interessante anche osservare le coincidenze fra ciò che propone la strategia di sviluppo del governo Bolaños e quella del governo sandinista negli anni ‘80. Il governo sandinista sviluppò allora una strategia basata sull’agroindustria, sulla trasformazione dei prodotti agricoli, zootecnici, forestali e della pesca del paese. Per questo, disegnò un piano di costosi investimenti pubblici in grandi progetti agroindustriali, che mai si fermarono nonostante i limiti imposti dalla guerra, il cui simbolo più grande fu lo zuccherificio TIMAL (acronimo dalle iniziali delle località di Tipitapa-Malacatoya, area in cui sorge la piantagione con relativo stabilimento, ndr), noto anche come “Victoria de Julio”, finanziato e inaugurato da Fidel Castro.
La priorità delle grandi imprese agroindustriali e lo spreco di risorse in quei progetti furono il centro della politica di sviluppo sandinista, nella quale lo Stato, al fronte di grandi corporazioni statali, assumeva il ruolo protagonista. Negli anni del governo sandinista, i clusters – se così possiamo chiamarli – erano statali. Fu una politica sbagliata, inadeguata alla realtà del Nicaragua, perché non coinvolse i piccoli e medi produttori. La proposta attuale somiglia molto a quella. Si differenzia per il fatto che ora i clusters vedono protagonisti gli investitori stranieri e un settore di grandi imprenditori nazionali.
Nel documento di Strategia di Sviluppo, il governo Bolaños segnala i tre elementi di quello che definisce il «posizionamento strategico del Nicaragua»: la sua posizione geografica – al centro del Centroamerica, che a sua volta si trova al centro del continente –, il suo potenziale agro-forestale disponibile tutto l’anno nonché la disponibilità di risorse naturali uniche, e la diversità ecologica. Questi sarebbero i vantaggi del Nicaragua rispetto al mercato internazionale.
Sette clustersSu questa base – geografia, risorse naturali e biodiversità – il governo ha identificato sette clusters. Chi, nel governo, li ha identificati? Un gruppo poco conosciuto, la Commissione Nazionale di Competitività, che riunisce grandi imprenditori nazionali e alti funzionari del governo.
I sette clusters sono:
- energia;
- tessile e abbigliamento;
- forestale e prodotti di legno;
- pesca e acquacoltura;
- carne e prodotti caseari;
- turismo;
- agroindustria con produzione di alimenti.
Alcuni di questi distretti hanno già uno sviluppo incipiente. Altri devono essere sviluppati.
Per quanto riguarda il cluster dell’energia non si dispone di informazioni.
Quello tessile e dell’abbigliamento consiste in quanto già sappiamo: zone franche taiwanesi, sud-coreane, etc., che elaborano indumenti da vendere negli Stati Uniti. La critica più importante a questo riguardo deriva da una realtà economica internazionale di cui si parla poco: nel 2005 verrà meno il sistema di quote che attualmente governa il commercio di tessili nel mondo. Attualmente, il Nicaragua vanta una una quota con accesso preferenziale al mercato degli Stati Uniti. È questo vantaggio, più che la manodopera a buon mercato, la ragione degli investimenti asiatici nelle maquilas in Nicaragua, dal momento che le quote asiatiche con accesso all’attrattivo mercato statunitense erano già coperte mentre quelle del Nicaragua no. Tuttavia, quando i privilegi delle quote verranno meno e l’Organizzazione Mondiale del Commercio liberalizzerà completamente il mercato tessile, è possibile che taiwanesi e sud-coreani smobilitino le proprie fabbriche e le trasferiscano, per esempio, in Cina, dove la manodopera è ancora più economica che in Nicaragua. Ciò rende estremamente fragile concepire lo sviluppo a partire dal cluster tessile, così come oggi è pensato.
Per quanto concerne i prodotti del legname, dal momento che il Nicaragua possiede le riserve forestali più importanti di Centroamerica, si suppone sia possibile continuare ad estrarre legname all’attuale ritmo. Tuttavia, è importante segnalare come, sebbene tutti i discorsi ufficiali nicaraguensi sul tema forestale siano sempre improntati al concetto di sostenibilità, il governo continui ad essere particolarmente flessibile nel consentire uno sfruttamento affatto sostenibile delle risorse forestali.
Nel campo della pesca e dell’acquacoltura, negli ultimi anni si è assistito in Nicaragua ad un grande sviluppo nella produzione di gamberi di allevamento. Il problema per questo cluster è che sono già molti i paesi che hanno optato per l’allevamento di gamberi, la qual cosa ha fatto scendere i prezzi. Nel caso dell’aragosta, che si pesca nella Costa Atlantica, gli studi ormai dimostrano come gli indici di cattura stiano superando la soglia di riproduzione naturale di questa specie.
Per quanto riguarda la carne e i prodotti caseari, si tratta, forse, di un conglomerato storico. Inoltre, mentre varie voci del settore agro-zootecnico sono venute meno, l’allevamento si è mantenuto ed oggi è il vero superstite del settore tradizionale dell’economia nicaraguense, avendo raggiunto nuovi mercati per la carne e per i prodotti caseari.
Gli investimenti della multinazionale (di origine italiana, ndr) PARMALAT sono stati considerevoli nel settore ed oggi El Salvador sta consumando formaggio nicaraguense e già si esportano prodotti caseari nicaraguensi negli Stati Uniti. È questo uno dei clusters più avanzati e più promettenti per il Paese. Tuttavia, l’orizzonte del Trattato di Libero Commercio (TLC) pone degli interrogativi. L’unico Paese del Centroamerica che esporta carne è il Nicaragua. Per il resto dei Paesi centroamericani sarebbe più economico importare la carne dalla Nuova Zelanda, più economica grazie ai sussidi che in quel Paese gli allevatori ricevono, che comprare la carne nicaraguense. Questo potrebbe essere un punto su cui il Centroamerica potrebbe cedere ad altri interessi e non assecondare gli interessi del Nicaragua.
Lo sviluppo dell’agglomerato dell’agroindustria e trasformazione di alimenti è ancora enunciato in maniera alquanto generica.
Il turismo è un settore cresciuto molto negli ultimi anni, anche se il Nicaragua è ben lontano dall’avere l’infrastruttura e la capacità che ha il Costa Rica o qualsiasi altro Paese centroamericano. Inoltre, la popolazione costaricense è stata educata e sensibilizzata alle relazioni con i turisti, mentre in Nicaragua c’è molto ritardo in tal senso. Per questo, le proposte degli imprenditori nicaraguensi più importanti del settore consistono fondamentalmente nel legarsi a progetti turistici dei costaricensi e, per questo, i pacchetti turistici più attrattivi si concentrano nella zona sud del Nicaragua, a Rivas e a Granada, nella zona, cioè, più vicina al Costa Rica.
Nel documento appaiono identificati con nome e cognome le imprese multinazionali con cui il governo è in contatto perché investano in Nicaragua e guidino lo sviluppo di questi conglomerati. Nel cluster forestale sono identificati come investitori stranieri International Paper, Stora-Enso, UPM-Kymmere, Georgia Pacific, Weyerhauerser, Smurfit-Stone Contaneir e Nippon UNIPAC.
Nel cluster dell’agroindustria si segnalano le multinazionali Chiquita Brands, Del Monte Foods, Fyffes, Goya, Tropicana, J.M. Smuckker e Hannover Food Corporation.
In quello caseario, Nestlé, Philip Morris-Krafts Foods, UNILEVER, Danone e PARMALAT. L’idea è che siano queste multinazionali a guidare il cambiamento tecnologico che il Pase richiede per garantire lo sviluppo di questi distretti economici.
È molto significativo che nella lista di investitori, attuali e potenziali, si omettono le corporazioni di orgine asiatica che dominano nella maquilas delle zone franche. Sarà questa omissione un riconoscimento implicito che questo tipo di investimenti non “sviluppa” il paese? O piuttosto, un riconoscimento, anch’esso implicito, che tali investimenti sono fugaci?
L’impatto economico delle poche compagnie straniere che fino a questo momento si sono stabilite in Nicaragua è marcatamente differenziato. PARMALAT, l’azienda italiana dedicata principalmente alla produzione e commercializzazione di prodotti caseari, che pure appare nella lista, ha portato in Nicaragua nuova tecnologia produttiva e di commercializzazione, dinamizzando la produzione e il mercato nazionale caseario e aprendo nuovi spazi ai prodotti nicaraguensi nel mercato internazionale. Invece, le firme asiatiche che hanno investito nella maquila tessile non hanno alcun vincolo con la produzione nazionale e si dedicano esclusivamente a trarre vantaggio, tanto dalla quota tessile del Nicaragua nel mercato statunitense, come dei bassi salari che pagano i nostri lavoratori e lavoratrici.
Bisogna segnalare anche che i sette clusters che sono stati identificati saranno anche la priorità numero uno del governo del Nicaragua nelle sue negoziazioni regionali, prima con il resto del Centroamerica, e poi con gli Stati Uniti nell’ambito del Trattato di Libero Commercio (TLC).
Il gran problema del Nicaragua di fronte al TLC è che il Paese entra in tali negoziati regionali accusando notevoli ritardi, sia nei confronti dei suoi vicini che del colosso del Nord. Il Nicaragua non è ancora competitivo a livello regionale, né internazionale, nemmeno nei settori selezioni come clusters. Molto meno in agricoltura per il mercato nazionale, che non sarà tema prioritario nelle negoziazioni del TLC.
Nel quadro del TLC, la riconversione produttiva è la sfida principale che ha davanti a sé il settore agro-zootecnico nicaraguense; ma, per poter affrontarlo, il Paese non dispone di un’istituzionalità adeguata, nonostante gli investimenti miliardari che la cooperazione esterna ha fatto nelle istituzioni statali che lavorano in questo campo, l’Istituto Nicaraguense di Tecnologia Agro-zootecnica e l’Istituto di Sviluppo Rurale, l’INTA e l’IDR. Sono ben noti i casi di corruzione nell’IDR ed è anche notoria l’inefficienza con cui si vengono gestiti gli aiuti esterni in entrambe le istituzioni.
Un altro asse della nuova strategia di sviluppo del Paese è un cambiamento fondamentale nella Strategia di Riduzione della Povertà, che di fatto è già in marcia. Finora, per dare risposta a questa strategia, richiesta dagli organismi multilaterali, la spesa pubblica e le risorse della cooperazione internazionale si orientavano verso i municipi più poveri del Paese, identificandoli in base alle inchieste che regolarmente fa l’INEC con appoggio tecnico del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo e della Banca Mondiale. Oggi, il governo ritiene che orientare la spesa pubblica e la cooperazione verso le località più povere non sia un criterio adeguato. Di conseguenza, d’ora in avanti le orienterà verso i municipi con maggiori opportunità di sviluppo.
Nella mappa della povertà del Nicaragua, nella Costa Atlantica settentrionale, nel nord di Estelí, per esempio, e nella fascia centrale secca del paese si segnalano da vari anni i municipi più poveri. I municipi meno poveri si trovano fondamentalmente nella costa del Pacifico.
La povertà o non povertà di questi luoghi non è solo frutto del loro maggiore o minore dinamismo economico, ma dipende anche dai flussi migratori della popolazione. Perché oggi le rimesse familiari significano quote maggiori di quelle della cooperazione internazionale e nei municipi dove arrivano rimesse familiari c’è meno povertà.
La mappa della povertà era quella che guidava i progetti che il governo realizzava con risorse della cooperazione internazionale nel quadro della Strategia di Riduzione della Povertà. Ora, si prendono in considerazione altre mappe.
Il governo ha elaborato una mappa dei flussi migratori a seconda dei municipi. In tale mappa, si identificano le zone del Paese che “espellono” popolazione e quelle che invece la accolgono. I municipi vengono classificati come di alta migrazione o alta immigrazione. Managua e le varie città del Pacifico, per esempio, ricevono popolazione, nel quadro di una migrazione campo-città. Pure, ricevono popolazione migrante tutto l’Atlantico Nord, Río Blanco, El Rama, Muelle de los Bueyes, la zona delle miniere, quella centrale, e pure ad est di Matagalpa e Jinotega, ma si tratta una migrazione da campagna a campagna, dal momento che si tratta di zone di “frontiera agricola”, dove la popolazione contadina emigra in cerca di nuove terre. La mappa delle migrazioni mostra come la zona da cui parte più gente, sia verso le città che verso la frontiera agricola, così come verso il Costa Rica e Stati Uniti, sia la fascia centrale del paese, la zona più secca.
È stata elaborata anche una mappa dei municipi con maggiore dinamismo economico, combinando il potenziale di risorse naturali, lo sviluppo agro-zootecnico e l’infrastruttura esistente, in considerazione del fatto che se coincidono questi tre elementi esiste dinamismo economico. In questa mappa, si esclude dal dinamismo tutta la Costa Atlantica e tutto il Río San Juan, nonostante essi siano ricchi di risorse naturali, data la loro limitata infrastruttura. E si dà priorità a zone in cui si concentra la popolazione e l’infrastruttura viaria. Nella più recente di quelle elaborate dal governo, la Mappa su Agglomerati o Clusters, appaiono segnalati, come prioritari i municipi con «dinamismo economico».
Incrociando i criteri delle tre mappe – povertà, migrazioni e dinamismo economico – il governo ha organizzato una nuova mappa per orientare le sue priorità nella spesa sociale e negli investimenti pubblici. Le priorità si concentrano ora dove coincidono l’alta povertà e l’alto dinamismo e potenziale economico (vedi mappa). Zona prioritaria è ora, per esempio, il cuore zootecnico e caseario del paese, nel centro del Nicaragua: priorità sarà data ai municipi di Camoapa, Matiguás, Río Blanco, Muy Muy, Boaco; una zona dove, nonostante l’alto dinamismo economico, la povertà è alta perché il modello di tale dinamismo è stato storicamente escludente: agrari che hanno accumulato terre e asservito coloni in estrema povertà.
Nella mappa ci sono altre zone di alto dinamismo e bassa povertà che costituiscono la seconda priorità. I municipi che saranno l’ultima priorità e resteranno “abbandonati” saranno quellli di basso dinamismo economico e alta povertà. La priorità sarà stabilita ora dal dinamismo economico e, in secondo luogo, dalla povertà. E questo è il cambiamento sostanziale che è stato impresso: passare dalla mappa della povertà alla mappa delle opportunità di sviluppo, mettendo in relazione queste opportunità con i clusters già identificati.
La premessa implicita di questo riorientamento della spesa pubblica a partire da queste nuove mappe è che finora si sarebbero sperperati i soldi e dispersi gli investimenti pubblici in zone inadeguate.
Si tratta di un criterio discutibile, con conseguenze ancora più discutibili. Perché nelle nuove mappe molti municipi appaiono come di basso dinamismo economico, ma basterebbero investimenti pubblici adeguati per imprimere loro un alto dinamismo, dal momento che esiste un grande potenziale agricolo nei piccoli e medi produttori di quelle zone, che non si sta sfruttando, perché ques’ultimi non hanno accesso a infrastrutture adeguate, né a finanziamenti. È così che si vanifica la loro potenziale capacità di uscire dalla povertà in cui oggi versano.
Tuttavia, lo spreco di risorse che il governo lamenta e cerca di evitare con questa nuova strategia, non si deve unicamente ad un problema tecnico. È un problema di gestione dello stesso governo e non solo un’eredità di quello precedente, perché sono molti i funzionari del governo Alemán che continuano a lavorare nel governo Bolaños e negli stessi settori di intervento.
Dietro la strategia dei clusters che il governo promuove per evitare gli sprechi vi sono anche criteri politici. Indirizzare tutte le risorse nelle zone indicate come dinamiche non appare ragionevole perché esclude troppa popolazione e ciò fomenterà una migrazione verso le zone prescelte, che forse non saranno in grado di assorbire. Tale inconsistenza nasconde un rischio. Perché una cosa è valorizzare alcune zone, altra cosa è escluderne altre. A meno che la strategia non presupponga, per garantire stabilità, la continuazione dell’emigrazione massiccia verso il Costa Rica e verso gli Stati Uniti.
Per mettere in moto la strategia dei clusters, il governo Bolaños ha bisogno di risorse. Nel suo documento, spiega che l’aggiustamento fiscale fissato nel negoziato con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) non deve toccare gli investimenti pubblici. Per questo, considera necessario un programma di investimenti per sviluppare i clusters, che non influisca sull’aggiustamento fiscale accordato e fissato con il Fondo. Uno dei propositi del documento che ha elaborato il governo è quello di sollecitare alla comunità internazionale un aiuto extra di circa 250 milioni di dollari (80 milioni all’anno), in aggiunta ai 1,2 miliardi di dollari ottenuti in base all’accordo con l’FMI.
Il governo argomenta così la sua richiesta di risorse aggiuntive: se il Nicaragua seguisse alla lettera l’accordo di tre anni con l’FMI e ricevesse solo 1,2 miliardi di dollari, il tasso di crescita cui potrebbe aspirare sarebbe del 2,5-3% l’anno, il che significa che il Paese crescerebbe appena allo stesso ritmo di crescita della sua popolazione, cioè batterebbe il passo. Per riuscire a ridurre la povertà, un Paese ha bisogno di crescere economicamente di più di quanto cresca la sua popolazione.
Ciò dimostra qualcosa che il governo non pare disposto a riconoscere: che rispettando quanto pattuito con l’FMI, il Nicaragua non si svilupperà, né ridurrà la sua povertà. E, pure, riconosce che quando fra tre anni sarà concluso l’accordo con l’FMI, le finanze pubbliche del Paese non saranno sostenibili, intendendo per sostenibilità fiscale un ritmo di indebitamento (debito interno ed esterno) che non superi il ritmo di crescita economica del Paese. Attualmente, accade il contrario: il debito cresce ad una velocità maggiore dell’economia.
È per garantire lo sviluppo, ridurre la povertà e la sostenibilità fiscale che il governo chiede alla comunità internazionale questi 250 milioni extra. Secondo i calcoli del governo e secondo questa proposta, con questa cooperazione aggiuntiva il paese potrebbe crescere del 4,5-5% l’anno ed al termine dell’accordo con l’FMI, le finanze del Paese saranno sostenibili e si inizierà a ridurre la povertà.
Il piano del governo si può così riassumere: “bene, abbiamo già firmato con l’FMI, abbiamo già accettato le sue condizioni, però questo risultato implica solo che avremo di più dello stesso, cioè che continueremo a battere il passo, a non decollare, a non svilupparci, con gli stessi livelli di estrema povertà del paese. Per questo, abbiamo bisogno di più, di molto di più”. Si tratta di una prospettiva con accenti drammatici che esprime la situazione disperata in cui versa il governo, un dramma di cui i discorsi e le dichiarazioni ufficiali non rendono conto.
È realistico sperare di ottenere nuove risorse internazionali quando la cooperazione internazionale in Nicaragua è stata, e continua ad essere, tanto abbondante e tanto male utilizzata? A volte, le fonti bilaterali non rispondono con donazioni; a volte, ciò che è più facile ottenere sono appoggi extra da programmi degli organismi multilaterali, sotto forma di prestiti a basso tasso di interesse.
Il Ministero dell’Educazione, ad esempio, ha già incluso nel suo bilancio preventivo una partita addizionale, grazie al fatto che il Nicaragua è risultato idoneo per un’iniziativa della Banca Mondiale che verserà al Paese 20-30 milioni di dollari per finanziare borse di studio, affinché i bambini poveri possano avere un’istruzione primaria. Un episodio chiave, data la situazione drammatica e disperata, che affronta il paese in campo educativo. Secondo uno studio del Ministero dell’Educazione, circa 900 mila persone di età compresa fra 15 e 45 anni sono analfabete. Questo gruppo di persone rappresenta nientemeno che due terzi della forza-lavoro del Nicaragua! Un simile ritardo limita enormemente le possibilità di sviluppo del Paese, con o senza clusters. Allo stesso modo, per effetto degli aggiustamenti fiscali, il Ministero non ha potuto aumentare il numero di maestri elementari nella scuola pubblica, il che significa che quest’anno resteranno fuori dal sistema educativo oltre 800 mila bambini in età scolare.
Sono molte le domande e sfide pendenti. È chiave porci questa domanda: se intorno agli agglomerati individuati dal governo esistono così tanti piccoli e medi imprenditori con un potenziale di crescita, perché non si prevede di integrarli in tale strategia di sviluppo? In realtà, il Nicaragua ha un grave deficit: lo Stato attuale non gode di una istituzionalità adeguata per fare promozione all’interno di questi settori. L’apparato dell’attuale governo non ce l’ha, né sembra volerla. Ad esempio, il Ministero dell’Industria e del Commercio è diretto fondamentalmente a promuovere gli investimenti stranieri, i suoi funzionari sono orientati a negoziare con gli investitori stranieri e con determinati gruppi imprenditoriali nazionali, e sono molto meno preparati – nonostante esiste un istituto di promozione della piccolla e media impresa – a sviluppare una capacità promozionale di piccoli e medi produttori per renderli competitivi.
Il paese non ha istituzionalità adeguata per dare servizi finanziari a questi settori. Il settore della piccola e media impresa è immenso, il suo potenziale è molto grande, ma senza finanziamento è bloccato e non può creare impiego. In Nicaragua, esistono circa 200 mila piccoli e medi imprenditori rurali. Se ognuno di essi riuscisse a creare un posto di lavoro, vi sarebbero 200 mila nuovi occupati! Nella piccola e media impresa urbana, i numeri sono ancora maggiori e qui predominano le donne che moltiplicano di più i benefici e le possibilità. Tuttavia, dai tempi del sandinismo ad oggi non c’è stata volontà politica né la capacità per sviluppare un’istituzionalità adeguata a questo immenso settore. Sviluppare questa istituzionalità è il cuore di qualsiasi strategia alternativa a quella che ora ora ci viene presentata come garanzia di sviluppo nazionale.
Dal sandinismo ad oggi continua a prevalere la visione che è lo Stato, il governo centrale, e non le municipalità che devono decidere dove investire le risorse a livello locale. Se in Nicaragua vi fossero trasferimenti di denaro dallo Stato centrale ai municipi in misura sufficiente, a livello di Bolivia, El Salvador e altri paesi latinoamericani, avremmo un potenziale di sviluppo locale assai maggiore di quello attuale, nonché la possibilità, per questo, di uno sviluppo nazionale molto più equilibrato. Nel Salvador si trasferisce ai Comuni l’8% del bilancio nazionalem, mentre in Nicaragua la quota è ferma all’1%.
Opzioni alternative ci sono, e molto chiare; il problema di fondo è un’ideologia assai radicata nella classe politica, nei partiti, nei funzionari, per cui l’unica maniera di sviluppare il paese è con investimenti di taglio imprenditoriali, su larga scala e a partire dal centro. Il sandinismo così fece ed il governo Bolaños ha deciso di fare lo stesso. Finché non si supererà questa visione saranno chiuse per il Nicaragua altre strade che potrebbero portare ad uno sviluppo più inclusivo, e dunque più equo, e per questo più democratico.
Ha collaborato alla traduzione Marta Fracasso. Redazione di Marco Cantarelli.
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